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Oltre nella dedizione per i ritratti – afferma il critico d’arte Paolo Battaglia La Terra Borgese – le figure e le nature morte, si evince il movimento che dall’improvvisazione post impressionista porta la pittura della Giusto, artista monzese, sino ad una costruzione corrispondente ai soggetti da lei preferiti dei paesaggi francesi e in particolar modo di quelli provenzali dal profumo di lavanda col fascino dei suoi campi, di castelli e di piccoli borghi. Da quest’olio steso a spatola e pennello su di una tela alta 60 e larga 80 cm, intitolato “Il Mistero del bosco”, si sprigiona il profumo del muschio selvatico. C’è in questa opera di Diana Giusto una sottile convivenza fra la ricerca tonale, tutta estetica, e la raffigurazione di un fatto reale. Quando la Giusto espone frazioni di bosco, di campagna, di terra, di cielo o di montagna, si hanno sguardi continuamente rinnovati che non abbandonano la presa diretta sul reale. Nelle sue opere l’uomo compare continuamente, anche quando non si vede, come vigore che forgia le forme e le decide, come identità sostanziale di un luogo, come modo di vivere ed abitare di cui il paesaggio stesso non è che un riflesso. L’oggetto di questo paesaggio in esame è però selvatico, dunque è la situazione, quel flusso immateriale intercalato fra il luogo, la pittura, la percezione, lo sguardo, l’uomo e l’espressione. I colori dalle tonalità moderne sono arcaici nella loro polverosità asciutta, quanto materica, che sembrano mimare le terre e le argille sbriciolate nell’impasto, quei pigmenti che richiamano il maquillage rassicurante e allo stesso tempo segreto di donne egizie. I panorami della Giusto sono dunque architettati su un differente tono regnante, irradiati da una luce diversa a seconda dell’episodio, dell’occasione che ritrae.