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U.S. Open 2016:Oakmont Country Club

DiPietro Sciandra

Giu 22, 2016

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OAKMONT, PA- SEPTEMBER 26:  General view of the church pew bunkering on the 15th hole at Oakmont Country Club, site of the 2007 US Open on September 26, 2006 in Oakmont, Pensylvania. (Photo by Rick Stewart/Getty Images)

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U.S. Open 2016:Oakmont Country Club

A cura di El Tigre

Oakmont/Pennsylvania (Stati Uniti D’America)

Lo U.S. Open è il torneo di golf che rappresenta l’America.

Il problema di stabilire quale sia il percorso più difficile del mondo è sempre di attualità, in quanto non si riesce mai a mettersi d’accordo. In ogni caso, il campo di Oakmont compare in tutte le classifiche e ciò malgrado la creazione di nuovi percorsi di gran classe e il talento di validissimi architetti come Trent-Jones. Dal 1903, questo circuito ha ospitato tanti campionati, e conosciuto tanti campioni:U.S. Open, parecchi U.S. Dilettanti, o USPGA; in breve, ecco diciotto buche che hanno ormai una lunga storia da raccontare. Tutti o quasi hanno sentito parlare dei centottanta bunkers di Oakmont e ce ne sono stati fino a duecentoventi, spaventose distese di sabbia delle buche 3 e 4, e del famoso “Church Pews Bunker” di 55 per 35 m. E tutti hanno sentito anche parlare di questi greens così ripidi da far rotolare una moneta, come raccontano i vari aneddoti, e soprattutto di quelli della buca 9 e della 10, così vasti e all’apparenza banali. A Oakmont le falciatrici tradizionali non fanno parte delle attrezzature per la preparazione di un torneo. Si falcia e si taglia l’erba magari a mano. Nessuna meraviglia quindi se talvolta gli stessi responsabili dell’USPGA sono rimasti sconvolti dalla velocità di questi greens così poco bagnati dalla pioggia. Henry Fownes il primo presidente di questo club che aveva concepito originariamente il circuito, si rendeva conto della sua difficoltà? Probabilmente no. Sta di fatto che da Bobby Jones a Johnny Miller, passando per Ben Hogan e Jack Nicklaus, sono tutti d’accordo nell’affermare che Oakmont rappresenta una dura prova e alcuni lo hanno definito “ingannevole”: difficile avere un’opinione unanime. Le statistiche parlano da sole. Bobby Jones, all’Open americano del 1927 non andò mai sotto il 76, mentre il vincitore Tommy Armour chiuse con un 71. Nel 1953, Ben Hogan si assicurò l’Open americano, lo stesso anno in cui realizzò il Grande Slam (vincere i 4 tornei più importanti nello stesso anno:Augusta Masters “vedi articolo Augusta Masters:il torneo della giacca verde”, U.S.Open, British Open e PGA Championship) con un punteggio sotto di 1 ed un ultimo giro in 71 malgrado il suo gioco brillante soprattutto sulle ultime quattro buche che sono considerate molto selettive. Soltanto Johnny Miller sfuggì al disastro quando, nel 1973, totalizzò uno storico 63 “il miglior giro di golf mai giocato”. Non vogliamo minimizzare la prestazione di Miller facendo notare che ebbe la fortuna di giocare su greens un po’ meno veloci a causa della pioggia caduta la sera prima. Ma i bunkers non erano certo stati rimossi e i fairways restavano stretti come sempre…

Interrotto dal Turnpike della Pennsylvania, con sette buche su un versante e undici sull’altro, questo campo situato alla periferia di Pittsburgh ha un’altra originalità che consiste nell’assoluta mancanza di acqua. Per fortuna, perché non osiamo immaginare cosa sarebbe stato questo percorso se avesse comportato anche qualche ostacolo d’acqua…

U.S. Open 2016:90 giocatori non hanno superato “il taglio” dopo 36 buche. Di cui uno svedese squalificato Peter Hanson ed un altro svedese Henrik Stenson che si è ritirato. Giocatori piuttosto importanti che non si sono qualificati per i due giri finali ci sono tra cui l’americano Phil Mickelson che fu compagno di squadra in coppa del mondo del ritirato dal golf Tiger Woods. Il gallese Jamie Donaldson anch’egli fuori. Eliminati anche l’inglese Luke Donald ed il nord irlandese Rory McIlroy, i due sudafricani Retief Goosen ed Ernie Els, l’indiano Jeev M. Singh, ed il giapponese Hideki Matsuyama.

Dei 67 giocatori che hanno completato le 72 buche, bisogna ricordare al 46° posto con un totale di +10 290 l’italiano Matteo Manassero. L’argentino Angel Cabrera che è finito 37° con +9 289. L’inglese Lee Westwood +8 288 che è 32°. 23° posto allo spagnolo dilettante con +7 287. 18° l’australiano Adam Scott con +6 286; insieme al sud coreano Sung Kang. 5° lo spagnolo Sergio Garcia con even 280, insieme al sudafricano Branden Grace. In tre al 2° posto con -1 279, l’americano Jim Furyk, insieme all’americano Scott Piercy e l’irlandese Shane Lowry. Vincitore dello U.S.Open 2016 con 4 sotto il par 276 (67 69 71 69), l’americano Dustin Johnson.

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Dir. artistica Emanuela Petroni
Salve, posso esserti utile ?